Museo archeologico nazionale delle Marche

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Museo archeologico nazionale delle Marche
Palazzo Ferretti, sede del museo
Ubicazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàAncona
IndirizzoVia Ferretti 6
Coordinate43°37′23″N 13°30′40″E / 43.623056°N 13.511111°E43.623056; 13.511111
Caratteristiche
TipoArcheologia
CollezioniCiviltà preistoriche
Civiltà picena
Civiltà gallica
Civiltà greca
Civiltà romana
(Derivanti esclusivamente da scavi archeologici nelle Marche)
Superficie espositiva3 500[1] 
Istituzione1863
FondatoriCarlo Rinaldini e Carisio Ciavarini
Apertura1863
GestioneMinistero della cultura - Direzione regionale Musei - Marche
DirettoreDiego Voltolini
Visitatori17 300 (2023)[2]
Sito web

Il Museo archeologico nazionale delle Marche si trova ad Ancona, all'interno del cinquecentesco palazzo Ferretti. Documenta in modo pressoché completo la Preistoria e la Protostoria del territorio marchigiano; la collezione di reperti della civiltà picena (IX - IV sec. a.C.) è la più completa esistente.

Ricche anche le collezioni relative alle civiltà che interessarono le Marche a partire dal IV sec. a.C.: quella greca di Ankón, quella dei Galli Sènoni e quella romana. Per l'interesse e l'ampiezza delle sue collezioni, quello di Ancona è uno dei più importanti musei archeologici d'Italia[3]. Sua peculiarità, rispetto ad altri musei archeologici nazionali, è quella di non aver ereditato le sue collezioni da precedenti raccolte nobiliari, ma da oltre centocinquant'anni di intense ricerche archeologiche sul territorio.

Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite la Direzione regionale musei - Marche.

Storia del museo[modifica | modifica wikitesto]

1) Danzatrice riprodotta in un cratere attico ritrovato in una tomba picena di Numana (sala 15)

Istituzione e ampliamenti successivi[modifica | modifica wikitesto]

Il museo, con il nome di "Gabinetto paleoetnografico ed archeologico delle Marche", fu istituito nel 1863 dalla Regia Commissione Conservatrice delle Marche[4], che diede in tal modo seguito al regio decreto che disponeva la sua fondazione, emanato il 3 novembre 1860 da Lorenzo Valerio, governatore straordinario delle Marche, appena un mese dopo l'annessione della regione al Regno d'Italia (2 ottobre 1860)[5][6].

L'stituzione del museo era stata sostenuta dal conte Carlo Rinaldini[7] e da Carisio Ciavarini, entrambi convinti patrioti, sostenitori del Risorgimento italiano e membri di una classe dirigente illuminata, estremamente ricettiva all'approccio positivista e profondamente consapevole della necessità di consolidare il senso di identità e di appartenenza nazionale anche attraverso l'istituzione di musei, per testimoniare la ricchezza storica e artistica del Paese appena riunito. Il museo nacque per accogliere "tutti i monumenti dalla Preistoria in poi rinvenuti nel territorio", come scrisse Ciavarini, ma anche dal desiderio di salvare i tesori archeologici marchigiani dall'assalto del rapace mercato antiquario dell'epoca[8].

Il museo fu inaugurato nel 1868; la sua prima sede fu all'interno dell'edificio delle Regie Scuole Tecniche in via San Martino[9], dove Ciavarini insegnava[10] e dove era già ospitato il Museo regionale marchigiano di storia naturale. Le collezioni archeologiche erano inizialmente costituite da materiale epigrafico raccolto da Carlo Rinaldini e da reperti acquistati o donati da privati. Carisio Ciavarini, che dal maggio 1876 era ispettore degli scavi e dei monumenti del Regio Commissariato per i Musei e Scavi di Antichità per l'Emilia e le Marche, ampliò le collezioni del museo grazie a nuovi scavi[6].

Il museo fu ospitato nella sede di via San Martino solo pochi anni: dal 1868 al 1877. A seguito dell'aumento esponenziale delle collezioni[8], frutto di ulteriori, intense campagne di scavo, il museo fu trasferito in sedi più capienti, prima in alcuni locali del Palazzo degli Anziani e da qui, nel 1884, nell'ex convento di San Domenico. Divenuta anche questa sede insufficiente, fu di nuovo trasferito nel 1898 nelle più ampie sale dell'ex convento degli Scalzi, in via Duomo n.12, dove rimase fino al 1923[6].

Museo Nazionale[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1906, grazie alla ricchezza e alla rappresentatività delle sue collezioni, l'istituzione ottenne il riconoscimento statale[10] e assunse la denominazione di Museo Archeologico Nazionale delle Marche. Il riconoscimento dell'interesse nazionale non va sottovalutato poiché all'epoca i musei archeologici nazionali italiani erano solo dieci: i tre di Roma (Museo nazionale romano, Museo nazionale preistorico, Museo nazionale etrusco) e quelli di Napoli, Firenze, Cagliari, Taranto, Parma, Portogruaro ed Este. Dopo l'apertura del museo di Ancona e di quello di Matera (1911), il numero dei musei archeologici nazionali rimase stabile sino agli anni settanta del Novecento[11].

Il direttore e soprintendente Innocenzo Dall'Osso fu autore di un ulteriore arricchimento delle collezioni, grazie a nuove ed intense campagne di scavo in tutta la regione[12]; inoltre nel 1915 curò la stampa della prima guida dettagliata del museo (già Ciavarini aveva curato la stampa di una guida, ma molto sintetica)[13].

Nel convento di San Francesco alle Scale[modifica | modifica wikitesto]

2a) Un carro da guerra piceno, nell'esposizione della sede del convento di San Francesco alle Scale (1927).
2b) Il trapezoforo del I sec. d.C. proveniente da Ancona che ispirò gli arredi della sede del convento di San Francesco alle Scale (sala 25).

Il museo rimase al convento degli Scalzi fino al 1923, quando fu trasferito negli spaziosi locali del convento di San Francesco alle Scale ed inaugurato il 9 ottobre 1927 alla presenza del re Vittorio Emanuele III di Savoia[10], che tagliò il nastro inaugurale con un pugnale dell'Età del bronzo[14][15].

Artefice di questa nuova, grandiosa sistemazione, fu il direttore Giuseppe Moretti[16], che aveva individuato la sede, ordinato le collezioni e curato un restauro attento e rispettoso dell'edificio settecentesco.

Il progetto di allestimento fu opera dell'architetto Arnolfo Bizzarri. Secondo i criteri dell'epoca, i chiostri furono trasformati in fiorenti giardini, gli arredi vennero realizzati da esperti ebanisti[17], i sostegni delle vetrine furono ispirati ad un trapezoforo ritrovato nel corso di scavi nell'area del porto romano di Ancona (foto 2); tutto ciò rendeva l'ambiente del museo all'altezza delle collezioni ospitate. Le sezioni erano inizialmente due: picena e gallica, mentre specifici settori erano dedicati alla collezione numismatica e alle ricche raccolte provenienti dalla necropoli picena di Numana e da quella ellenistica di Ancona[10]. La pinacoteca civica di Ancona venne aggregata al museo e riacquistò l'autonomia solo nel secondo dopoguerra[18]. Nel 1932 venne inaugurata la sezione preistorica[14].

Durante la Seconda Guerra Mondiale, si pose il problema di proteggere i reperti dalle possibili distruzioni belliche. Improvvidamente, il direttore dell'epoca, temendo trafugamenti, si rifiutò di inviare le collezioni nei depositi appositamente allestiti dal soprintendente Pasquale Rotondi nella rocca di Sassocorvaro, da allora detta "arca dell'arte"[19]. La decisione fu invece quella di riporre in casse i reperti di minori dimensioni e di lasciare nelle sale quelli più ingombranti; le casse vennero poi collocate nei locali situati alla base dell'attiguo campanile della chiesa di San Francesco. Durante i bombardamenti di Ancona del 1943, la sede del museo fu però pesantemente danneggiata dal crollo del campanile. Ciò provocò ingenti danni alle collezioni e alla fine della guerra non fu dunque possibile riaprire subito al pubblico le raccolte museali, sia per la ncessità di trovare una nuova sede, sia per i necessari restauri dei reperti danneggiati dal crollo.

A Palazzo Ferretti[modifica | modifica wikitesto]

3) La sala 15, con la collezione di vasi greci da necropoli picene, nell'allestimento del 1998 di Franco Minissi

Alla fine della guerra, iniziarono lunghi e complessi lavori di recupero e restauro dei reperti danneggiati dai bombardamenti, condotti dal nuovo direttore e soprintendente, Giovanni Annibaldi[20]. Per la riapertura del Museo Archeologico Nazionale delle Marche si dovette quindi attendere il 1958, quando fu allestito nell'attuale prestigiosa sede di Palazzo Ferretti, appositamente acquistata dallo Stato. All'inaugurazione erano già allestite e visitabili solo la sezione picena e la sala dei Bronzi Dorati di Cartoceto. Solo nel 1969 fu possibile riaprire anche la sezione romana e quella altomedievale.

Il soprintendente Giovanni Annibaldi promosse una serie di scavi che, alla pari di quelli precedenti di Innocenzo Dall'Osso, diedero risultati di un'importanza fondamentale per le collezioni del museo e per la storia antica delle Marche. Per quanto riguarda la sezione preistorica, venne scoperto e scavato il giacimento paleolitico inferiore di monte Cònero, ove si rinvennero i reperti più antichi delle Marche ora esposti nella sala 2, e furono riportati alla luce i reperti neolitici della sala 4. Per la sezione dell'Età dei metalli, furono rinvenuti i reperti protovillanoviani della sala 8. Per la sezione protostorica, gli scavi portarono al rinvenimento dei reperti villanoviani di Fermo della sala 4, della necropoli picena di Numana[21], che ha restituito i vasi greci della sala 15, e della tomba del principe sènone, i cui reperti sono esposti in sala 19. Inoltre, sotto la direzione di Annibaldi, tornarono alla luce i resti del santuario romano di Monte Rinaldo e del Tempio di Afrodite di Ancona[22].

Il forte terremoto che colpì Ancona nel 1972 costrinse ad una nuova chiusura, protrattasi fino al 1988, quando la direttrice e soprintendente Delia Lollini riaprì al pubblico la sezione protostorica, incentrata sulle civiltà picena e gallica. A partire da allora, il museo ha gradualmente riaperto altre sue sezioni: tra il 1990 e il 1997 la preistorica, quella dell'Età del rame e quella dell'Età del bronzo; tra il 2010 e il 2015 quella dedicata ad Ancona ellenistica e romana; nel 2023 quella dedicata alla civiltà romana nel resto delle Marche[12].

Sia l'allestimento del 1958, sia quello del 1988 furono affidati all'architetto Franco Minissi (foto 3).

Nel 2023 sono ancora chiuse la sezione altomedievale e la ricchissima collezione numismatica (circa 90.000 esemplari[23]); per quanto riguarda quest'ultima, si segnala che nelle due sale della sezione romana sono esposte sessantacinque monete di epoca romana. Il patrimonio archeologico del museo è molto consistente: le sue collezioni comprendono circa 190.000 pezzi, di cui 10.000 attualmente visibili nel percorso di visita, che si estende per 3.500 m²[1].

Progetto di restauro architettonico e di riallestimento[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2023 sono iniziati importanti lavori che riguardano il museo, che devono concludersi entro il 2026. Il progetto approvato, seguito dal direttore Diego Voltolini, interessa sia la sede, Palazzo Ferretti, sia l'allestimento delle collezioni.

Il primo intervento è stato il restauro dello scalone monumentale disegnato da Luigi Vanvitelli nel XVIII secolo; attraverso indagini stratigrafiche sugli intonaci, sono stati riscoperti i luminosi colori originari delle pareti e il bianco avorio degli stucchi e delle statue di Gioacchino Varlè. È prevista inoltre la revisione dell'allestimento di Franco Minissi, allo scopo di migliorare la godibilità delle collezioni. Il progetto prevede di rendere fruibili al pubblico anche i ricchi depositi museali, a cui i visitatori potranno accedere per osservare e studiare i vari reperti, con la stessa modalità con cui si consulta un libro antico in una biblioteca. Verranno allestite inoltre sei sale per mostre temporanee, dove saranno esposti a turno reperti provenienti dai depositi del museo o derivanti da prestiti. Durante i lavori, il museo non verrà chiuso e i visitatori potranno vedere procedere l'attuazione del progetto.

Verrà infine riaperta la terrazza sommitale, da cui i visitatori potranno ammirare le copie dei Bronzi Dorati di Cartoceto, la veduta sul golfo di Ancona, sul porto e sui rioni storici che vi si affacciano[24]; l'ultima volta che è stato possibile accedere alla terrazza è stato nel 2013, in occasione delle celebrazioni dei 2400 anni dalla fondazione di Ancona da parte dei greci siracusani.

Il ruolo del Museo nella protezione del patrimonio archeologico regionale[modifica | modifica wikitesto]

4) La lekythos ritrovata ad Ancona (Metropolitan Museum).
5) L'ambra etrusca con Afrodite ed Adone ritrovata a Falconara (Metropolitan Museum).
6) Il cratere con Amazzonomachia da Numana (Metropolitan Museum).

Il Museo Nazionale ha sempre svolto un attivo ruolo nel contrastare il fenomeno della vendita illegale all'estero di reperti che, come in tutta Italia, è presente anche nelle Marche. Esemplare in questo senso fu il recupero dei Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola: nel 1946, nonostante i disagi derivati dai bombardamenti che avevano semidistrutto la sede del Museo, l'unico dipendente ancora in servizio, Nereo Alfieri, si recò sul luogo del ritrovamento e apprese che il proprietario del terreno si era recato urgentemente a Roma. Sospettando che il viaggio improvviso fosse dovuto all'intenzione di contattare il mercato antiquario clandestino, il dipendente sequestrò i reperti nel nome dello Stato e fece in modo di farsi consegnare altri frammenti precedentemente occultati. Fu così che, dopo un lungo restauro ad opera di Bruno Bearzi[25], fu possibile, dal 1959, esporre al pubblico il celebre gruppo statuario[26][27].

In negativo, il ruolo del Museo è deducibile dal fatto che, prima della sua istituzione, preziosi reperti trovati nelle Marche finirono all'estero; valgano i seguenti esempi:

- il cratere a calice con Amazzonomachia attribuito al pittore dell'hydria di Berlino (foto 6);
- il cratere a campana con satiri e menadi, attribuito al pittore di Methyse;
- il cratere a volute con centauri e lapiti, attribuito al pittore dei satiri villosi;

Mappe del museo e itinerari di visita[modifica | modifica wikitesto]

Le mappe sottostanti sono ordinate in base all'itinerario di visita effettuato in ordine cronologico, ossia dalla sezione preistorica (secondo piano) alla sezione romana (piano terra e seminterrato).

La numerazione delle sale segue quella presente nelle targhette affisse alle pareti, che corrisponde a quella del catalogo generale dei beni culturali[34] e della guida alla sezione protostorica del museo[35], e non quella presente in alcuni pieghevoli illustrativi.

Sezione preistorica[modifica | modifica wikitesto]

La sezione preistorica è allestita nel secondo piano del palazzo, corrispondente al mezzanino. Comprende tre settori:

  • Paleolitico (sale 1, 2, 3)
  • Neolitico (sale 4, 5, 6)
  • Età dei metalli (sale 7, 8)
7) Ciottolo con incisione paleolitica: la donna-lupo (sala 3)
8) La "Venere di Frasassi" (sala 1)

Paleolitico[modifica | modifica wikitesto]

Sala 1

Prima dell'inizio del percorso cronologico, si trova la sala della Venere di Frasassi (foto 8); venne ritrovata nel 2007[36] all'interno della Grotta della Beata Vergine di Frasassi, poco distante dalla Grotta Grande del Vento; è stata realizzata utilizzando una stalattite. Si tratta di una figura femminile dalle forme generose, con gli avambracci piegati in avanti e con le mani congiunte, in un gesto di preghiera e di offerta; il ventre mostra che la donna è incinta. Il reperto è una venere paleolitica; in Italia esistono solo altri dieci esemplari simili[37]. Risale a circa 20.000 anni fa, ossia al Paleolitico superiore, periodo Gravettiano o Epigravettiano antico.

Sala 2

Inizia in questa sala il percorso cronologico. Sono qui esposti i reperti più antichi mai rinvenuti nelle Marche: quelli della zona sommitale di Monte Conero, la cui presenza è stata segnalata nel 1963 da un soldato di leva della vicina base militare[38], durante i lavori di costruzione di un'antenna della RAI[39]. Il giacimento paleolitico risale a circa 300.000 anni fa (Paleolitico inferiore[40]). Si tratta di chopper, chopping tool, bifacciali (o amigdale) e di manufatti su scheggia di cultura acheuleana. Più recenti sono i reperti realizzati con la tecnica Levallois.

Sala 3

Sono esposti oggetti realizzati con tecnica microlitica, piccoli manufatti di forma geometrica (triangolo, trapezio, mezzaluna...) che venivano poi montati su un supporto grazie all'utilizzo di resine e leganti, realizzando in tal modo un risparmio di selce, non dovunque reperibile con facilità.

Reperto specificatamente artistico è il ciottolo graffito con la figura femminile avente testa di lupo (foto 7)[41], datata in un arco cronologico tra 35.000 e 9.500 anni fa (Paleolitico superiore). Fu rinvenuto nel 1884 a Tolentino dal conte Aristide Gentiloni Silverj, archeologo autodidatta, che lo inviò all'archeologo di spicco dell'epoca, Luigi Pigorini. Il Pigorini non credette all'autenticità del reperto, perché riteneva l'espressione artistica impossibile per l'uomo del Paleolitico e perché credeva che in Italia non ci potessero essere testimonianze paleolitiche. Solo il direttore del Museo di Ancona Dall'Osso, sfidando l'autorità di Pigorini, si interessò al reperto e perciò il Gentiloni glielo inviò. A causa dell'opinione di Pigorini, il reperto è stato quindi ignorato per più di un secolo, fino al 1997, quando è stato riscoperto e considerato, per la fusione di caratteristiche umane e animali, una importante testimonianza artistica con un significato rituale-religioso legato allo sciamanesimo[42].

9) Macina e macinello (sala 4)

Neolitico[modifica | modifica wikitesto]

Sinistra - 10) Età del rame: ascia martello (sala 8).
Destra - 11) Età del bronzo: pugnale in bronzo, da ripostiglio (sala 8).
Sale 4, 5, 6

È illustrata esaurientemente la Rivoluzione neolitica, che nelle Marche si attuò nel VI millennio a.C.[43] Espone infatti le prime testimonianze dell'agricoltura (macine e macinelli - foto 9), dell'addomesticazione e dell'allevamento (ossa di animali domestici), del commercio (oggetti realizzati con ossidiana e steatite, provenienti rispettivamente dalle Eolie e dalla Scandinavia), della divisione del lavoro (vasi fittili, rocchetti e fuserole per la tessitura), della costruzione di villaggi (resti di intonaco e di focolari domestici). Presenti anche i primi manufatti in pietra levigata.

Età dei metalli[modifica | modifica wikitesto]

13) Mappa dei luoghi legati al mito di Diomede e ritrovamenti micenei[44].
Sale 7 e 8

Le prime vetrine sono dedicate all'Età del rame e presentano i primi esempi di manipolazione dei metalli, praticata mentre tutti gli oggetti d'uso venivano ancora realizzati con pietra levigata o con gli altri materiali tipici del Neolitico. In particolare, sono esposte diverse asce-martello (foto 10) in cui, come è tipico di questa categoria di oggetti, la levigazione della pietra raggiunge la perfezione, proprio nel momento in cui sta per essere abbandonata a favore della metallurgia.

Al Museo, l'Età del rame è indicata nei pannelli esplicativi con il nome di "Prima Età dei Metalli", in quanto il rame usato in questo periodo era sempre impuro e in lega con altri elementi. I reperti metallici testimoniano come le comunità diventino sempre più dipendenti dall'approvvigionamento dei metalli, disponibili solo in alcune zone geografiche.

Risalgono all'Età del bronzo antica i reperti provenienti dal più antico villaggio sorto nella zona di Ancona, i cui resti sono stati rinvenuti nel corso di scavi al Campo della Mostra.

Interessanti sono gli insiemi di pugnali di bronzo ritrovati in ripostigli (foto 11), di produzione locale dell'inizio del II millennio a.C.[43]. L'occultamento in ripostigli poteva avere due possibili scopi: una forma di tesaurizzazione (ad esempio delle scorte di un artigiano metallurgo itinerante, o la riserva collettiva di un intero villaggio) oppure una deposizione rituale, cioè un'offerta alle divinità di beni di alto valore economico, che non prevedeva il recupero successivo degli oggetti[45].

12) Frammento di vaso miceneo, trovato ad Ancona (al Montagnolo). Su di esso compare l'antico simbolo della spirale (sala 9)

Le ricche testimonianze della ceramica dell'Età del bronzo di produzione locale appartengono alla civiltà appenninica, che era diffusa in tutta l'Italia peninsulare. I reperti in ceramica esposti mostrano le caratteristiche decorazioni ad incisione e intaglio ed anse a figurazione plastica.

I reperti ceramici della civiltà appenninica contrastano nettamente, per fattura e decorazione, con i frammenti di ceramica micenea esposti nella stessa sala, che rispetto ad essi presentano una decorazione non incisa, ma dipinta, a volte con motivi simbolici, uno spessore più sottile, un'argilla più fine, depurata e con scarsi inclusi[46].

Quelli esposti risalgono alla fase neo-palaziale e provengono da Ancona (Montagnolo - foto 12), Tolentino (Cisterna) e Monsampolo del Tronto (Treazzano). L'importanza di questi frammenti micenei è dovuta al fatto che essi testimoniano i primi contatti che i navigatori provenienti dalla Grecia stabilirono con la costa delle attuali Marche, in particolare con la zona in cui sarebbe sorta nel 387 a.C. la colonia greca di Ankón (Ancona).

È singolare la coincidenza tra alcuni luoghi di ritrovamenti micenei e quelli legati alla fase adriatica del mito di Diomede, l'eroe greco che partecipò alla guerra di Troia e poi diffuse la civiltà greca lungo le coste adriatiche (mappa 13). Ciò ha portato a pensare che la navigazione micenea in Adriatico abbia diffuso questo mito nella costa marchigiana. Con il ritrovamento dei frammenti micenei acquista nuova luce l'informazione proveniente dalle fonti classiche[47], che afferma che Ancona considerava Diomede come "proprio benefattore"[48].

Sezione protostorica[modifica | modifica wikitesto]

La sezione protostorica illustra le culture che interessarono le Marche nell'Età del ferro. Testimonia due diverse civiltà: la picena e la gallica[49].

La civiltà picena caratterizzò tutto il territorio regionale dal IX al III secolo a.C. Le sue testimonianze sono esposte al terzo piano (sale dalla 1 alla 11) e al primo piano (sale dalla 12 alla 18 e sala 23). L'esposizione cronologica è interrotta da tre sale tematiche; la 4, la 20 e la 21; le ultime due sono localizzate all'interno della suggestiva torre medievale del palazzo.

I Galli Sènoni invasero il territorio piceno settentrionale nel corso del IV secolo a.C. e poi si fusero con la popolazione picena preesistente. Le loro testimonianze sono esposte al primo piano (sale dalla 19 alla 22).

Civiltà picena[modifica | modifica wikitesto]

La collezione di reperti piceni[50] del Museo costituisce la più completa testimonianza della vita e dell'arte del popolo che diede unità etnica alle Marche nell'Età del ferro e il cui totem (il picchio verde) è raffigurato nello stemma della regione[51]. La collezione picena comprende anche una ricca raccolta di ceramica greca e alcuni pregevoli reperti etruschi, testimonianze di scambi commerciali.

Sale 1, 2, 3

Si segnalano i reperti del villaggio protovillanoviano e poi piceno di Ancona, che testimoniano le attività della pesca (ami, arpone, fiocina, gusci di Glycymeris) della caccia (oggetti in corno di cervo), dell'allevamento (ossa di animali domestici), della tessitura (rocchetti e fusaiole) e dell'agricoltura (vanghette in corno di cervo). I corredi funebri maschili comprendono una singolare ricchezza di armi (foto 14). I pettorali in bronzo raffigurano il mito della barca solare ornitomorfa, ossia con protomi di anatra selvatica a prua e a poppa (foto 15, 16 e 17). Caratteristiche sono le fibule ad occhiali (foto 18).

19) Elmo villanoviano a cresta, da Fermo (sala 4)
24) Pettorale degli amuleti, da Numana, (sala 5)
Sala 4

Sono esposti i reperti dell'enclave culturale villanoviana di Fermo, che caratterizzò questo centro nel IX e nell'VIII sec a.C. e che si dissolse nel corso del VII, assorbita dalla circostante civiltà picena. Non sono chiari i motivi di questa specificità fermana; si è ipotizzato che piccole comunità etrusche provenienti dall'Etruria meridionale si fossero stabilite qui. Si segnalano i tipici elmi a cresta decorata sui due lati, nella zona mediana, da tre file di borchiette limitate da linee di puntini; tre elementi cilindrici sporgono dai due lati (foto 19).

Sale 5, 6, 7
  • fase Piceno III (VII sec. a.C. e inizio del VI - 700-580 a.C.)

Questa fase costituisce il periodo orientalizzante della civiltà picena, in cui è forte l'influenza dell'arte del Mediterraneo orientale e del Vicino Oriente antico; essa continua comunque a produrre oggetti altamente originali. Anche in questa fase, i corredi di armi picene esposti si distinguono per aggiornamento e completezza.

Tra i reperti più interessanti si segnala il pettorale bronzeo da Numana, con elementi simbolici (foto 23 e 24): cinque figure umane che si tengono per mano, di altezze degradanti dalla centrale a quelle laterali, sette figure umane con mani sui fianchi e collegate tra loro da anelli e infine tre pendagli, di cui due a forma di mano e un terzo al centro, a forma anulare con sei nodi, di significato ignoto[52]. Il pettorale pende da una fibula.

Tra gli oggetti più caratteristici dell'arte picena, sono qui esposti alcuni dischi per stola traforati (foto 20), e i dischi-corazza (foto 21 e 22) con animali fantastici e figure umane, nel tipico stile sintetico piceno, alcuni dei quali forse rappresentanti il Signore degli animali[53].

25) Coperchio bronzeo con statuine di guerrieri intorno ad un totem (sala 7).

Uno dei reperti più noti e caratteristici dell'arte picena è il coperchio bronzeo di una situla (foto 25) con due coppie alternate di statuine di guerrieri nudi e muniti di elmi dai lunghi cimieri, in danza rituale attorno ad un palo di totem con teste di lupo. Una coppia è costituita da opliti con grande scudo rotondo e due lance, di cui una brandita con la destra in posizione di lancio e l'altra tenuta verticale dietro allo scudo. L'altra coppia è formata invece da arcieri, colti nell'atto di scoccare una freccia. Il reperto fornisce preziose informazioni sul culto e sul totemismo piceni, richiamati anche dall'etnogenesi tradizionale. Risale al 620-600 a.C.[54]

In queste sale e in quella successiva sono esposti vari esempi di ceramiche picene, caratterizzate dall'originalissima foggia (foto 26, 27, 28 e 33). Tra i reperti orientalizzanti si segnala una rara e preziosa oinochoe (foto 29) il cui corpo è realizzato con un uovo di struzzo graffito a cornici vegetali e figure zoomorfe, tra cui alcuni grifoni. La bocca trilobata è configurata a testa femminile (foto 30), con le mani che stringono le trecce ai lati del volto; è realizzata in avorio intagliato e presenta inserzioni d'oro. L'oggetto è di fattura orientale e risale al periodo compreso tra il 620 e il 580 a.C; il piede e il collo non si sono conservati perché in materiale organico deperibile[55].

Frutto di scambi commerciali con l'Egitto è la statuetta del dio Bes (foto 31), con le sue tipiche smorfie, la sua posizione a gambe arcuate, le penne di struzzo sulla testa e la sua coda.

31b) Testa in calcare di guerriero piceno
Sala 8

La sala 8, all'epoca in cui il palazzo era ancora una dimora nobiliare, era il salone delle feste; nell'allestimento del 1988 ospitava le vetrine in cui erano raccolti i reperti più significativi della fase orientalizzante della civiltà picena (fase "Piceno III"). Nel 2018, i reperti sono stati spostati in altre sale, gli affreschi cinquecenteschi sul soffitto sono stati restaurati e l'ambiente è stato destinato ad esposizioni temporanee, concerti e manifestazioni particolari[56].

Nel panoramico corridoio adiacente alla sala 8, è stato spostato un raro esempio di scultura italica preromana di grandi dimensioni: la testa di guerriero in calcare da Numana, risalente alla metà del VII sec. a.C, ossia alla fase Piceno III (foto 31b). La scultura apparteneva ad una statua monumentale, più grande del naturale[57]; stilisticamente fa parte di un ristrettissimo gruppo al quale appartiene anche il Guerriero di Capestrano.

Sale 9 e 10
  • fase Piceno IVa (pieno VI sec. a.C. - 580-520 a.C.)

Questa fase segna l'inizio dell'apogeo di questa civiltà, che culminò tra la fine del VI e l'inizio del V sec. a.C.

32) Ansa figurata rappresentante il Signore degli Animali (sala 10)

Si notano due anse di idrìa che rappresentano un'entità sovrannaturale: il Signore degli animali, qui attorniato da due leoni, due cavalli, due rapaci e due serpenti (foto 32). Questo modo di rappresentare il Signore degli animali è tipico quasi esclusivamente del territorio piceno[58]. Il Signore degli animali è una figura sovrannaturale la cui origine si può far risalire sino alle società paleolitiche di cacciatori; era l'essere da cui si riteneva dipendesse l'esito della caccia e quindi la sopravvivenza del gruppo.

Sono notevoli alcune ambre scolpite, tra cui quella che rappresenta un leone che sovrasta una leonessa (foto 34)[59], di produzione picena e originariamente collocato sull'arco di una fibula. In Italia si sono rinvenute trentatré ambre figurate rappresentanti felini, in genere accovacciati, provenienti per la maggior parte dall'Etruria padana o dal Piceno. Il reperto qui esposto si distingue, rispetto agli altri, per la riconoscibilità del leone, per presenza della leonessa e per il miglior stato di conservazione[60]. L'associazione tra l'ambra e il leone, che per le loro caratteristiche ricordano il Sole, rinforza i significati simbolici di entrambi. A proposito degli oggetti in ambra, si ricorda che il popolo piceno era stato soprannominato "popolo dell'ambra" per l'amore che mostrava nei confronti di questo materiale, che ricorda il Sole per il colore, per la traslucida luminosità e per la misteriosa energia che rivela quando, per strofinio, si elettrizza. Il Piceno era un terminale della "via dell'ambra" che partiva dal Mar Baltico ed arrivava al Mediterraneo.

Si segnala anche la statuetta in avorio che raffigura la dea Cupra (foto 35), una delle più importanti del pantheon piceno, in qualche modo assimilabile ad una Magna Mater o alla Bona Dea; la faccia era in ambra, ma si è persa a causa dei bombardamenti che, durante la Seconda guerra mondiale, colpirono il museo.

Sono qui esposti anche alcuni enigmatici anelloni a sei nodi (foto 36), oggetti assurti nei primi anni del Novecento a emblema dell'intera civiltà picena. Detto anche "ruota di Cupra", l'anellone a sei nodi ha un significato che sfugge: forse è un simbolo solare o di femminilità e fertilità, usato in riti collegati alla dea Cupra[61]. Il numero dei nodi, in alcuni reperti, non è sei, ma varia da quattro a otto.

I due dischi-corazza da Rapagnano, posti a confronto con quelli esposti nelle sale precedenti, fanno notare come l'arte picena abbia subito l'influsso di quella greca, andando verso rappresentazioni più realistiche. Risalgono alla metà del VI sec. a.C. Uno dei due dischi è una riproduzione galvanoplastica ottenuta nel 1914 dall'originale, conservato in proprietà privata e poi perduto; esso raffigura una scena di guerra con cavalieri, di cui uno è caduto a terra e si protegge con lo scudo. L'altro disco (foto 37) rappresenta invece un drammatico duello tra due soldati inginocchiati, uno dei quali tenta di sottrarre l'arma all'avversario[62].

Notevole è anche il collare con sirene e cavalli marini (foto 37b)[63]

Sala 11

Vi è esposta una collezione di epigrafi picene, scritte nel caratteristico alfabeto usato nella regione durante l'Età del ferro, testimonianze fondamentali della lingua picena (foto 38, 39, 40 e 41). È inoltre presente un'epigrafe in cui è usato l'alfabeto e la lingua di Novilara (foto 42).

Il piceno è una lingua italica attestata da iscrizioni ritrovate in tutte le province delle attuali Marche, oltre che nell'Abruzzo settentrionale[64]. La datazione delle ventisette iscrizioni picene sino ad ora ritrovate ne ha individuato la diffusione in un arco di circa 300 anni, compreso fra la fine del VII secolo a.C. e l'inizio del III secolo a.C..

L'alfabeto piceno è stato decifrato completamente solo negli anni ottanta del Novecento, a causa di una caratteristica rimasta per decenni incompresa: quella di usare dei punti al posto dei segni che in altri alfabeti sono tratti o circoli, come nella O, costituita da un punto al centro, e nella F, realizzata con due punti. Queste lettere venivano quindi scambiate per segni di interpunzione[65]. La lingua picena rivela un'accuratezza nella trascrizione del sistema vocalico maggiore di quella delle altre lingue italiche, comprendendo l'uso di sette vocali: A, È (E aperta), É (E chiusa), Ò (O aperta), Ó (O chiusa), U, trascritte rispettivamente a, e, í, i, o, ú, u. Le consonanti sono sedici[65][66]. L'elenco completo di tutte le lettere e il valore fonetico di ciascuna di esse è presente nella tabella "alfabeto piceno".

alfabeto fonetico internazionale [a] [e] [ɛ] [i] [ɔ] [o] [u]
vocali italiane A È É I Ò Ó U
vocali picene
Sala 12

Presenta testimonianze dei luoghi di culto e in particolare delle stipi votive; tra i reperti qui conservati si segnalano i caratteristici "Marti in assalto" e "Marti stanti" (foto 43 e 44), opere che esprimono tutta l'originalità e la forza della metallurgia locale. Si segnalano anche i minuscoli vasi miniaturistici (foto 45), tipici dei contesti votivi e cultuali di quest'età. Sono notevoli inoltre due opere di fattura etrusca: una testa bronzea di Marte (foto 46) e un piccolo kouros bronzeo. È di produzione locale una piccola statua bronzea di Ercole.

Sono qui esposte anche le allungatissime figure in lamina di bronzo (foto 47), della tipologia delle "ombre della sera", che comprende un ristretto gruppo di una ventina di esemplari rinvenuti di Toscana, Etruria padana, Umbria e Marche, sempre in contesti votivi[67]. Il loro nome, coniato modernamente, deriva dall'aspetto simile alle ombre che al tramonto si allungano a dismisura, dato che il sole si trova quasi sull'orizzonte.

Sale 13, 14, 15, 16
  • fase Piceno IVb (fine del VI e l'inizio V sec. a.C. - 520-470 a.C.)
48) Cratere a calice con le nozze tra Bacco e Arianna e, sull'altro lato, Edipo e la sfinge (sala 15).
53) Cratere a volute con tre fasce di immagini, rappresentanti (dall'alto) scene di simposio, corse di carri, amazzonomachia (sala 15)

Questa fase è considerata l'apogeo di questa civiltà. Tra gli altri reperti spiccano numerosi vasi attici, molti dei quali di alta qualità (foto 1 e 44-54), che i Piceni acquistavano da mercanti-navigatori greci. Gli esemplari più monumentali sono esposti nella vasta sala 15; quest'ambiente, quando il palazzo era ancora una dimora nobiliare, era il salone dei ricevimenti. Tra i vasi greci ci sono sia vasi a figure nere, sia vasi a figure rosse. Tra questi ultimi si segnalano soprattutto i seguenti, risalenti all'epoca aurea dell'arte greca: il V sec. a.C. corrispondente in gran parte con l'età di Pericle[68][69].

- Cratere a calice che raffigura sul lato A le nozze tra Bacco e Arianna e sul lato B Edipo e la sfinge[70]

Sul lato A (foto 1, 48 e 49), Bacco e Arianna[71] siedono a fianco, vicino a Pothos. Tutta la scena è animata da satiri e menadi. Un satiro versa del vino da un'idrìa in un dinos e una menade porta un canestro di grappoli d'uva, mentre una danzatrice è intenta ad eseguire una danza pirrica, per la quale Eros le offre uno scudo e una lancia; essa porta in testa un kalathiskos, indossa una veste con corpetto aderente che lascia i seni scoperti e calza un solo sandalo.
Sul lato B (foto 50) sono raffigurati Edipo e la sfinge attorniati da tebani, di profilo, che attendono l'esito della vicenda; la Sfinge è assisa su un pilastro roccioso. Edipo domina la scena, essendo l'unico personaggio raffigurato di tre quarti, con atteggiamento sicuro e sereno che contrasta con il nervosismo di coloro che assistono alla scena; ha l'aspetto del viandante: indossa il petaso e la clamide e porta lance leggere. Risale alla fine del V sec. a.C.

- Anfora di tipo panatenaico (foto 51)[72]

Raffigura su un lato Zeus ed Era, rappresentati giovanissimi; posta tra i due coniugi, l'alata Iris reca in un'idrìa la temibile acqua del fiume Stige, che aveva il potere di smascherare coloro che affermavano il falso durante la siglatura di un patto. Sull'altro lato si trovano invece Apollo con la cetra ed Artemide in procinto di avviarsi su di un carro. Risale all'inizio del V sec. a.C.

- Cratere a volute a tre fasce (foto 53)[73]

La fascia più bassa rappresenta un'amazzonomachia, quella centrale una corsa di cavalli e quella più alta un simposio su un lato e sull'altro un komos, ossia una processione festosa. Risale alla fine del V sec. a.C.

- Piattello ad alto piede (foto 54)[74]

58) Dinos di Prometeo (sala 15)
59) Particolare dell'idrìa con protome di sfinge (sala 15).
Il piattello ad alto piede è una tipologia ceramica che i ceramisti ateniesi producevano appositamente per il Piceno e per Spina; forse aveva la funzione di servire olive, come suggerisce la cornice di rami d'ulivo. Nell'esemplare esposto è rappresentato Eracle giovane ricoperto dalla pelle del leone nemeo. Risale alla fine del V sec. a.C.

- Cratere a campana con satiri e menadi (foto 55 e 56)[75]

Raffigura su un lato sei satiri e menadi in corsa e sull'altro lato l'incoronazione di un atleta che tiene uno strigile in mano e una clamide avvolta sul braccio. Risale alla fine del V sec. a.C.

- Dinos con Prometeo che consegna il fuoco ai satiri (foto 57 e 58)[76][77]

Prometeo è seduto, benevolo e in nobile atteggiamento. Il fuoco, contenuto nel fusto cavo di una ferula, è consegnato ad un satiro, mentre un suo compagno, vista la scena, già prepara la legna da ardere. Intorno a loro satiri di ogni età accolgono il prezioso dono danzando e bevendo; un vecchio satiro con barba e coda bianca offre un rhyton ad un satiro giovane, che vi si avventa. Risale alla fine del V sec. a.C.

Sono esposti anche vasi bronzei, sempre di fattura greca.

- Dinos bronzeo poggiato su un tripode a zampe leonine e palmette rovesciate (foto 60, 61 e 62)

Presenta un orlo decorato da statuine di leone e di toro (quest'ultimo è un calco dell'originale perduto), in posizione di combattimento. Risale all'inizio del V sec. a.C.[78]. Nel 1890, dopo il recupero fortuito, era finito indebitamente nelle mani di un antiquario che, scoperto, cedette il reperto al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia; si pensa però che due statuette di leone e di cinghiale finite a Boston, siano da attribuire a questo stesso reperto.Il dinos bronzeo passò poi al Museo nazionale romano e tornò finalmente nelle Marche nel 1901, al museo archeologico di Ancona, che stava per ottenere la nazionalizzazione. Ridotto in frammenti a causa dei bombardamenti del 1943, fu pazientemente ricostruito.

- Due idrìe bronzee greche

Un'idrìa ha una protome di gorgone (foto 63) ed è datata alla fine del V sec. a.C.[79]. L'altra ha invece una protome di sfinge (foto 59 e 64) e risale alla metà del V sec. a.C.[80]. Le due protomi sono, in entrambe i casi, poste alla base dell'ansa.
65) Rhyton (sala 17).
Sale 17 e 18
  • fase Piceno V (pieno V e l'inizio IV sec. a.C. - 470-385 a.C.)

Durante questa fase continua l'importazione di ceramica greca. Si segnalano:

- Rhyton con scene dionisiache (foto 65)[81].

Il rhyton è modellato a testa di cane, forse un levriero, con orecchie aggettanti e occhi vividi e brillanti. L'imboccatura è ad angolo retto rispetto al muso dell'animale. Risale alla metà del V sec. a.C.

- Pisside a fondo bianco con la nascita di Afrodite alla presenza di Eros[82].

È notevole per la rarità del tema raffigurato e per la tecnica di realizzazione su un fondo color latte. Le divinità sono indicate con il nome, scritto a vernice nera: Afrodite, Peithṓ?, Eros, Zeus, Era. Risale alla metà del V sec. a.C.
66) Vaso alto-adriatico (sala 23).
Sala 23
  • fase Piceno VI (pieno IV e prima metà del III sec. a.C. - 385-268 a.C.)

L'esposizione dei reperti piceni si interrompe con la sala 18 e riprende con la sala 23, perché nelle sale dalla 19 alla 22 sono esposti i reperti che testimoniano l'arrivo nel territorio piceno dei Galli Sènoni, descritti nella sezione Civiltà gallica.

La fase VI è l'ultima della civiltà picena, che va gradatamente fondendosi con altre, portate dagli stanziamenti gallici e dalla fondazione della colonia greca di Ankón (Ancona), dissolvendosi in una koiné celto-greco-italica[83]. L'inizio della romanizzazione della regione iniziò con la battaglia del Sentino, data convenzionale di fine della civiltà picena. Si possono qui ammirare i vasi dello stile detto "alto-adriatico", prodotto dell'estremo periodo piceno, ispirato alla ceramica greca, ma in cui le figure, con la stilizzazione spinta dei profili e delle acconciature, tendono quasi all'arte astratta (foto 66).

Civiltà gallica[modifica | modifica wikitesto]

67) Corona rinvenuta in una tomba celtica, realizzata in lamina d'oro e smalti (sala 22)
73) Bracciale gallico-etrusco in oro con protome di serpente (sala 22)
Sale 19, 20, 21, 22.

La collezione gallica è costituita dai reperti relativi alla migrazione dei Galli Senoni, provenienti dalla regione storica francese della Champagne e stanziatisi attorno al 400 a.C. nel territorio piceno settentrionale, sino al fiume Esino, con punte di avanzamento anche più a sud. Tra essi era comune la pratica del mercenariato. A parte l'armamento, di produzione celtica, queste testimonianze sono prodotte da officine etrusche e greche e spesso sono in oro.

Da segnalare soprattutto le tre corone, di raffinatissima fattura, composte da fiori e foglie in lamina d'oro (foto 67); esse rappresentano dei pezzi unici in Italia di una rara tecnica orafa che era invece diffusa nei contesti regali della Grecia[84]. Sempre in oro, si segnalano gli orecchini (foto 68), i collari (foto 69), le caratteristiche torqui (foto 70) e i bracciali (foto 73).

Tra i numerosi oggetti che i Galli acquistarono dagli Etruschi, si segnala una teglia con le due anse raffiguranti coppie di guerrieri in lotta (foto 71), vestiti con corazza e corta tunica, inclinati l'uno verso l'altro sino a toccarsi con le teste; inoltre, ognuno dei due pone la mano sulla testa dell'altro (IV sec. a.C.)[85].

L'originaria cultura celtica dei Sènoni, a contatto con i Piceni e con i Greci di Ancona, subisce un'evoluzione, dissolvendosi in una koiné celto-greco-italica, dove l'elemento celtico rimase tipico solo per ciò che riguarda l'armamento[83], ben rappresentato nella sezione; si segnalano gli elmi celtici con paragnatidi (protezioni delle guance e delle orecchie) e cimiero in ferro (foto 72) e le spade celtiche, che presentano il caratteristico stile di Waldalgesheim, nato in area celto-italica a sud del Po e dovuto alla fusione di arte celtica, greca ed etrusca.

Posto fuori dalla sezione gallica, il fregio fittile del Tempio di Civitalba (foto 99, 100 e 101), di arte romana, è estremamente interessante per capire la percezione che i Romani avevano dei guerrieri gallici, presentati come barbari sacrileghi[86][87][88]. La sua descrizione è presente nella sezione romana, tra le "opere collocate in altre sale".

Sezione "Ancona greco-ellenistica e romana"[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Scavi archeologici di Ankón e Ankón.

I reperti greco-ellenistici e romani provenienti da Ancona sono esposti nelle sale 24 e 25.

Sala 24
74) La moneta greca di Ancona, che reca sul dritto la testa di Afrodite vista di profilo e incoronata di mirto, accompagnata dalla sigla Σ ("S", per "Siracusa"), mentre sul verso è presente un braccio piegato, le due stelle dei Dioscuri e la scritta ΑΓΚΩΝ (ANKŌN), che significa sia "gomito", sia "Ancona", dato che la città prende nome dalla conformazione ad angolo del promontorio su cui sorge, simile ad un braccio piegato (sala 24)[89].
79) Le sfingi poste all'ingresso della sala 24
80) Urceolus (brocchetta) in argento con ansa figurata ad attore comico, che testimonia il culto del dio Dioniso e che reca, sul fondo, un augurio in lingua greca (sala 24)[90]

La sala 24[91] è dedicata all'archeologo Nereo Alfieri, a cui spetta il recupero dei Bronzi Dorati di Cartoceto. Vi sono esposti i ricchi materiali provenienti dalla necropoli ellenistica di Ankón (Ἀγκών), nome di Ancona durante la sua fase di colonia greca, che si distinse per aver mantenuto il suo carattere greco anche dopo la romanizzazione della regione e persino dopo essere entrata a far parte dello stato romano.

All'ingresso della sala sono esposte due statue di sfingi (foto 79) del II-I sec. a.C., una delle quali stringe tra le zampe una testa decapitata; originariamente poste a guardia di aree funebri, hanno confronti solo in Veneto e nell'oriente mediterraneo. Le due sculture sono di produzione locale e recepiscono prototipi orientali, a testimonianza di rapporti di Ankón con il vicino Oriente.

Spiccano le stele funerarie con bassorilievi e iscrizioni in greco (alcuni esempi nelle foto 75-78), databili dalla fine del II agli inizi del I sec. a.C. Tra tutte le altre testimonianze funerarie coeve ritrovate in Italia, sono uniche per l'assoluta aderenza all'arte ellenistica, non trovando confronto neanche nelle città della Magna Grecia e della Sicilia: i loro modelli sono nelle isole Cicladi[92]. Le immagini delle stele, i testi delle loro iscrizioni ed altri dettagli sono presenti nella voce "Scavi archeologici di Ankón", al capitolo "Le stele figurate e iscritte".

È esposta una delle sei monete greche di Ancona conservate al Museo (foto 74). Gli oggetti di prestigio della necropoli, che comprendono vasi e scodelle in vetro colorato, gioielli in oro e servizi domestici in argento (un esempio nella foto 80) sono testimonianze uniche nell'Adriatico e in generale a nord della Magna Grecia, e mostrano lo stretto legame esistente in epoca ellenistica tra Ancona e il mondo greco e in particolare Alessandria d'Egitto, centro principale dell'ellenismo mediterraneo[93].

La civiltà greca è testimoniata, oltre che dai reperti provenienti dalla necropoli ellenistica di Ancona, anche dai notevoli esemplari di ceramica attica ritrovati nelle necropoli picene (foto 1, 48-58 e 63) e che sono dunque esposti nella sezione protostorica. Se ne sono date informazioni nel capitolo "Civiltà picena" (sale da 13 a 18).(sala 24)

81) Ritratto di Augusto capite velato, da Ancona (sala 24), trovata nel 1863 al di sotto dell'attuale sede del Museo, ove in epoca romana era localizzato il foro.
82) Situla funeraria in marmo, ansa con testa di Dioniso (sala 24)
88) Bassorilevo con suonatrice di khitara (cetra) danzante (sala 25).

La sala accoglie anche alcuni reperti romani. Tra essi si segnala soprattutto il ritratto marmoreo di Augusto capite velato (foto 81), cioè con il capo velato come voleva la sua funzione di pontifex maximus, nell'atto rituale dell'offerta religiosa. In pressoché perfetto stato di conservazione e di ottima fattura, la scultura fu trovata nel 1863 al di sotto dell'attuale sede del Museo, ossia nell'area ove in epoca romana era localizzato il foro. L'imperatore è stato ritratto in un'età non più giovanile da una bottega scultorea di buon livello e situata in città, come mostra lo studio attento della fisionomia, che si discosta in qualche particolare dai ritratti di Augusto appartenenti alla stessa tipologia, ossia quella dell'Augusto di via Labicana[94][95]. Per la sua importanza iconografica, dall'opera è stato ricavato un calco per esporlo nella sala di Augusto del Museo della civiltà romana di Roma.

Sempre di epoca romana, sono presenti delle pareti affrescate con motivi illusionistici: su un fregio continuo posto sotto ad archi dipinti, sono raffigurate delle scene nilotiche con anatre, un coccodrillo, foglie di loto e pigmei in barca. Gli affreschi provengono da una domus ritrovata in via Fanti e sono del "secondo stile": risalgono quindi alla metà del I sec. a.C.[96].

Si trova nella sala anche una situla cineraria marmorea con volto di Dioniso (foto 82); il dio ha un'ampia barba a ventaglio e è incoronato di foglie, corimbi e grappoli di edera e di vite. Questo tipo di oggetti deriva da un archetipo molto più antico, custodito in un tempio egizio e legato ad Iside e alla rinascita ultraterrena. Di fattura greca, la situla è stata rinvenuta in una sepoltura ancora visibile lungo corso Matteotti. In marmo pentelico, risale all'inizio del I secolo d.C.[97]

Si segnala infine un modellino ricostruttivo della fase romana del Tempio di Venere di Ancona[98], i cui resti si trovano nell'area archeologica sottostante il Duomo.

Sala 25

La sala 25 è intitolata all'archeologo Giuliano De Marinis, che diresse la soprintendenza ai beni archeologici dal 1995 al 2012. La sala conserva reperti risalenti alla fase romana di Ancona[99]. Il pavimento della sala accoglie uno splendido mosaico proveniente da Helvia Recina, recante inserzioni di marmi colorati.

Tra i reperti qui esposti si segnalano i seguenti.

- Il Bassorilevo con suonatrice di cetra danzante (foto 88).

Risale alla tarda fase ellenistica di Ankòn. Per rendere l'idea del volteggio, la chioma, raccolta in una vaporosa coda, è vista di prospetto, mentre il corpo è di profilo e il viso di tre quarti. La khitara è portata di traverso, stretta sotto il braccio, e la suonatrice usa un plettro a forma di pesce. Secondo alcuni, potrebbe rappresentare una musa.

- Le decorazioni in avorio e in bronzo di tre letti funebri.

I letti erano stati sepolti insieme ai defunti; le decorazioni sono esposte su letti in legno ricostruiti modernamente[100].

- Due mosaici policromi appartenenti alle domus della Valle degli Orti.

La Valle degli Orti è percorsa oggi dai tre corsi principali della città e all'epoca imperiale romana accoglieva l'espansione extramuraria della città; un mosaico proviene dall'area della Galleria Dorica ed è decorato con motivi acquatici (foto 83); l'altro proviene invece da corso Garibaldi (negozio Zamboni) e raffigura la testa del dio Oceano (foto 84).

- Il trapezoforo con busti femminili alati ed ornamenti vegetali ad acanti e foglie di palma (foto 2).

Questo reperto ispirò gli arredi della precedente sede del museo, il convento di San Francesco delle Scale.

- Il Sarcofago del Vinaio (foto 85).

Sul fronte è presente un bassorilievo raffigurante tre scene, separate da due colonne e coperte da tre arcate; la scena centrale mostra una compravendita di vino, con il venditore che tiene in una mano una spilla per botti e tini e nell'altra una patera; la scena di destra presenta il dio Mercurio con caduceo tra gallo e pecora, mentre in quella di sinistra si vede il dio Bacco con tirso e affiancato da una pantera. Il sarcofago risale al III sec. d.C. e proviene dalla chiesa di Santa Maria della Piazza. Per il suo interesse ne è stata tratta una copia, esposta al Museo della Civiltà Romana; infatti il reperto mostra che anche in epoca romana si usavano delle botti in legno come contenitori per il vino, mentre solitamente, nell'iconografia romana, questo liquido è contenuto in dolii e orci in terracotta.

- Tre piccole statue acefale di Venere.

Furono ritrovate nell'ultimo dopoguerra in un pozzo di Piazza del Comune (piazza B. Stracca); sono un'ulteriore testimonianza del culto che Ancona dedicava a questa divinità, attestato soprattutto dalla presenza nell'acropoli cittadina del tempio di Afrodite.

Si affiancano ai reperti i seguenti due modelli didattici.

- Il calco delle scene 58 e 59 della Colonna Traiana (foto 86) rappresenta l'imperatore e il suo esercito si imbarcano per la Dacia dal porto di Ancona. Si tratta del più antico panorama di Ancona; sono rappresentati il Tempio di Venere sull'acropoli, il colle Guasco percorso da una strada a tornanti, il sottostante Tempio di Diomede colpito dalle onde, l'Arco di Traiano, con le statue di Mercurio, Nettuno e Portuno, il molo fatto costruire da Traiano, il colonnato del foro, i magazzini portuali, il porto gremito di navi da guerra in procinto di partire, la folla che saluta i soldati, una scena di sacrificio di un toro.

- Il modellino ricostruttivo dell'Arco di Traiano di Ancona (foto 87) raffigura il monumento all'epoca della sua costruzione, ossia con quattordici rostri e, sull'attico, le statue di Traiano, sua moglie Plotina, sua sorella Marciana, di Mercurio, Nettuno e Portuno. Le statue poste sull'arco nella scena della Colonna Traiana sono solo quelle delle tre divinità, perché essendo rivolte verso il mare, erano le sole visibili dall'ingresso del porto; quelle della famiglia imperiale erano invece rivolte verso terra, sopra alle iscrizioni che si riferiscono ai personaggi rappresentati.

Nella sala sono esposti anche i reperti provenienti dagli scavi del porto traianeo di Ancona, tra cui alcuni frammenti di statue in bronzo dorato, che tradizionalmente si attribuiscono alle statue poste nell'attico dell'Arco di Traiano prima del saccheggio saraceno dell'839[101][102]. Tra i reperti rinvenuti nella stessa area, si segnala un piccolo frammento di scodella con una cruda scena in cui un orso si appresta a sbranare un uomo legato ad un palo; scene analoghe sono molto utilizzate nel IV sec. d.C.[103].

Sezione romana[modifica | modifica wikitesto]

La sezione romana è stata riaperta il 6 dicembre 2023, a 51 anni dalla sua chiusura a seguito del terremoto del 1972; si articola in due sale: la 26 e la 27, che accolgono una scelta dei reperti romani del Museo, ad eccezione di quelli ritrovati ad Ancona, esposti nelle sale 24 e 25. I reperti non sono esposti in ordine cronologico, ma sono riuniti seguendo un criterio tematico: sculture, vetri, anfore, mosaici, iscrizioni e così via[104].

Sala 26
89) Orologio solare sferico (sala 26)
90) Oscillum con capricorno e falce di luna (sala 26)

Accolgono il visitatore, all'ingresso della sala, numerosi ritratti scultorei (foto 91 e 92) dall'età repubblicana a quella tardo-imperiale, tra cui una testa dell'imperatore Claudio e una del tipo Agrippina minore, sua moglie; si segnalano inoltre un trapezoforo in marmo, con testa di lince, del I secolo d.C. (foto 93), un oscillum a bassorilievo rappresentante un capricorno e una falce di luna (foto 90) e un emblema in mosaico in opus vermiculatum, rappresentante una scena di caccia al cinghiale, del II-I sec. a.C. (foto 97).

È esposto anche un rarissimo orologio solare sferico in pietra: il globo di Matelica (foto 89); si conosce solo un altro reperto simile (il globo di Prosymna)[105]. Era utilizzato come strumento di osservazione del cielo, per calcoli astronomici, astrologici e cronologici, per stabilire le ore del giorno dal sorgere del sole, le date dei solstizi e degli equinozi, l’entrata del Sole nelle diverse costellazioni dello Zodiaco, la durata del giorno e della notte nelle varie epoche dell'anno. Le ore sono indicate con numerazione greca, come nella gigantesca meridiana di Augusto al Campo Marzio di Roma. Risale al I-II sec. d.C.[106].

Sono esposti due magnifici esempi di sarcofagi romani, descritti di seguito.

- Sarcofago con scene del mito di Medea, risalente al 150 - 160 d.C. (foto 94 e 95).

Dopo la scoperta, avvenuta nel XV secolo a Roma[107], era stato posto in Vaticano, nel Cortile del Belvedere, dove era stato ammirato, durante un suo soggiorno a Roma, da Pieter Paul Rubens, che ne trasse un accurato disegno. Era poi stato acquisito dal Museo Nazionale Romano e giunse ad Ancona solo nel 1927, in seguito a un'acquisizione voluta dal soprintendente Giuseppe Moretti. È l'unico reperto del museo a non provenire dalle Marche e rappresenta il mito di Medea secondo l'omonima tragedia di Euripide, con uno stile ricco di pathos e di movimento. Nella scena frontale si vede a sinistra Medea, alla presenza di Giasone, con i figli che recano una ghirlanda e un peplo come doni nuziali a Creusa, seduta sul trono tra due ancelle; sullo sfondo un parapetasma. Al centro si vede Creusa che, avendo indossato il peplo stregato donato da Medea, si contorce avvolta dalle fiamme; suo padre Creonte tenta di salvarla, mentre Giasone osserva la scena. Procedendo verso destra, c'è Medea che, pugnale in mano, uccide i figli alla presenza della nutrice. Nell'ultima scena la donna fugge sul carro del Sole, sceso a prenderla per portarla in salvo, trainato da serpenti alati; porta con sé i cadaveri dei figli: uno in spalla, l'altro sul carro. Sui lati sono presenti due grifoni, la cui presenza è motivata dal fatto che queste creature fantastiche erano ritenute sacre al Sole[108]. Al Museo Nazionale Romano è conservato un sarcofago con le stesse scene raffigurate in quello esposto ad Ancona (foto 96).

- Sarcofago con tritoni e nereidi, del II sec. d.C. (foto 98).

Raffigura un corteo marino, con le creature che, secondo il mito, facevano parte del corteggio di Nettuno, dio del mare, delle sorgenti e dei terremoti[109]. Al centro della scena è raffigurato Nettuno su un ippocampo, che impugna il tridente.

In questa sala è inoltre presente un sarcofago che reca sul lato superiore una fistula in piombo attraverso la quale venivano fatte le offerte al defunto (III sec. a.C.)

102) Busto di imperatore con lorica musculata decorata con grifoni e gorgoneion (sala 27)
103) Statuetta in ambra di roditore, probabilmente uno scoiattolo (sala 27)
104) Copia ricostruttiva dei Bronzi Dorati di Cartoceto, sulla terrazza sommitale (particolare)
110) Copia ricostruttiva dei Bronzi Dorati di Cartoceto, sulla terrazza sommitale (particolare)
Sala 27

Sono esposti nella sala ritratti scultorei e statue acefale di età imperiale (un esempio nella foto 99). Si segnalano, in particolare, un pregevole torso di imperatore con lorica musculata (foto 102), decorata con due grifoni simmetrici e gorgoneion centrale, del I sec. d.C. e un torso in marmo grigio di Ercole (foto 101). Una vetrina contiene un'interessante collezione di oggetti in vetro soffiato, che i romani producevano in serie (foto 100).

Si segnala, per la particolarità del reperto, anche un minuscolo ciondolo in ambra a forma di roditore (foto 103). L'ambra utilizzata è rossastra e non traslucida; probabilmente si tratta di uno scoiattolo, riconoscibile per quanto rimane della coda, a forma di esse. L'animaletto è raffigurato nell'atto di sgranocchiare una ghianda, nel tipico raccoglimento del corpo che assume durante il pasto. L'ambra, per i suoi valori simbolici, si presta bene ad essere usata in amuleti, e lo scoiattolo si presta meglio di altri roditori per rivestire un ruolo beneaugurale. Risale al periodo tra I e II sec. d.C.[110]

Reperti romani esposti in altre sale

- Stele del seviro Sesto Tizio Primo (foto 105)

Questo monumentale esempio di stele funeraria figurata con iscrizione si trova nella galleria vetrata del piano terra. Il sevirato era una carica onoraria in genere affidata a liberti arricchitisi e consisteva prevalentemente nell'organizzazione di giochi gladiatori, cosa che richiedeva ingenti somme di denaro. Il fronte presenta al centro il ritratto del seviro defunto, a destra la concubina Lucania Benigna e a sinistra la liberta Tizia Chreste, che tiene in braccio la figlioletta Chloe. I nomi risultano dall'iscrizione sottostante, in cui la piccola Chloe è definita delicium (amore, delizia). In basso sono raffigurati segni dell'orgoglio del defunto per la propria carica: un bisellium su cui due littori indicano una corona d'alloro e, sui due fianchi, le scene di pugilato[111].

-Fregio e frontone del Tempio di Civitalba (foto 106, 107 e 108)

Sono esposte[112] nel panoramico corridoio che conduce alla sala 24. Le pregevoli sculture fittili sono opera di arte romana della seconda metà del II secolo a.C. Il fregio raffigura la scena del mancato saccheggio del tempio di Apollo di Delfi, da parte di soldati celtici (279 a.C.), riconoscibili per i capelli sollevati a cresta, i baffi spioventi, le tuniche di pelliccia e gli scudi rettangolari.
La rappresentazione del fregio segue il mito, che presto ammantò il fatto storico, secondo cui Apollo e le "vergini bianche"[113], identificate in Atena pronaia e Artemide, intervennero per cacciare i Celti, costretti ad una fuga precipitosa e ad abbandonare il bottino: sono visibili patere e brocche in metallo prezioso che cadono a terra. Nella fuga concitata, un soldato celtico travolge con il carro un suo stesso compagno. Partecipò alla difesa del tempio di Delfi anche il figlio di Achille, Neottolemo, sepolto a Delfi e risorto miracolosamente per cacciare i sacrileghi; forse si tratta del personaggio all'estrema destra del fregio, che si distingue per indossare un berretto frigio[114][115].
Il tema rappresentato, secondo l'interpretazione più comune, non è casuale[116]: Civitalba sovrasta la pianura in cui si svolse la Battaglia del Sentino (295 a.C.), che vide affrontarsi i Romani, alleati dei Piceni, contro una coalizione composta da Etruschi, Sanniti, Galli Senoni ed Umbri. Il tempio fu costruito, circa un secolo più tardi, per celebrare la sconfitta della coalizione e in particolare dei Senoni, popolo celtico, equiparandola a quella mitica avvenuta in terra greca contro nemici della stessa stirpe.
Nel frontone, invece, la rappresentazione è dedicata a Dioniso quale divinità che a Delfi era affiancata ad Apollo. Ad altissimo rilievo sono raffigurati satiri e ninfe dormienti in contesto campestre, celebranti forse l'incontro tra Dioniso ed Arianna a Nasso; il gruppo centrale, molto frammentario, rappresenta forse il risveglio di Dionysos Lyknites[117] sul monte Parnaso oppure la ierogamia tra Bacco ed Arianna[118].
Copie ricostruttive dei Bronzi dorati da Cartoceto

Le copie ricostruttive dei Bronzi Dorati da Cartoceto (foto 104, 109 e 110), l'unico gruppo scultoreo in bronzo dorato di provenienza archeologica rimastoci dell'epoca romana[119], sono state realizzate in bronzo dorato, come gli originali. Svettano dalla terrazza sommitale di Palazzo Ferretti come simbolo dell'archeologia marchigiana.

Gli originali dei Bronzi Dorati sono stati esposti nel museo dal 1959 al 1972, come pezzi singoli (foto 113), e nel 1988, questa volta come gruppo unico, grazie ad un restauro che permise di integrre tutti i frammenti ritrovati. Per la controversia relativa al luogo in cui esporre queste eccezionali testimonianze di scultura antica, si veda la voce specifica.

Sezione altomedievale[modifica | modifica wikitesto]

La sezione altomedievale non è ancora aperta (2023). Comprende soprattutto le testimonianze lasciate nelle Marche dagli Ostrogoti (fine V secolo - inizi del VI secolo) e dai Longobardi (fine VI secolo - tutto il VII secolo).

111) Dritto e rovescio della moneta siracusana emessa all'epoca di Dionisio I e ritrovata ad Ancona (non ancora esposta)

I reperti comprendono armi, accessori di abbigliamento e oggetti di oreficeria. La collezione altomedievale è importante in quanto non sono molto comuni in Italia i ritrovamenti di questo periodo.

Collezione numismatica[modifica | modifica wikitesto]

La collezione numismatica non è ancora aperta (2023), ma nelle due sale della sezione romana sono esposte 65 monete scelte tra le migliaia della ricca collezione del Museo. Non è esposta, ad esempio, una moneta siracusana emessa all'epoca di Dionisio I (foto 104), ritrovata ad Ancona e risalente all'epoca della sua fondazione da parte dei greci siracusani.

Reperti paleontologici[modifica | modifica wikitesto]

112) Scheletro di Ursus arctos (orso bruno) rinvenuto in una cavità carsica della Gola di Frasassi.

Il Museo nazionale, pur avendo carattere archeologico, espone due reperti paleontologici.

  • Scheletro di un giovane orso bruno (foto 105), che nell'ultimo periodo della glaciazione Würm (più di 10.000 anni fa), recatosi per il letargo in una cavità carsica nei pressi delle Grotte di Frasassi, è morto durante il sonno, come a volte capita a questi animali se prima dell'inverno non si sono nutriti a sufficienza[120]. Durante la stessa glaciazione, mentre l'orso bruno riuscì a sopravvivere, grazie alla sua dieta onnivora, la specie affine Ursus spelaeus si è estinta, forse a causa della sua alimentazione più vegetariana, resa difficoltosa dal raffreddamento del clima[121]. Lo scheletro è esposto al secondo piano.
  • Calco dell'Ittiosauro di Genga, della specie Gengasaurus nicosiai (nella sala dei convegni, a piano terra). Lo scheletro è stato rinvenuto a Camponocecchio, nei pressi di San Vittore di Genga, durante la costruzione di una galleria della Strada statale vallesina. Si tratta di un rettile marino lungo circa tre metri, vissuto nel Giurassico superiore, circa 150 milioni di anni fa. Un ricercatore locale, durante i lavori di costruzione della galleria, si rese conto della presenza del fossile e lo segnalò, salvandolo dalla distruzione. L'originale si trova nel Museo speleo paleontologico e archeologico di Genga[122].

Riapertura delle collezioni dopo le distruzioni della Seconda guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

113) Un particolare dei Bronzi Dorati di Cartoceto, nell'allestimento del 1959
114) Incisioni su bronzo
  • 1959
  • 1969
    • Riapertura della sezione romana e quella altomedievale.
  • 1988
  • 1995
  • 1997
  • 2010
    • Riapertura al pubblico della sezione dedicata ad Ancona greco-ellenistica e romana[124].
    • Si tolgono dalla fruizione pubblica i reperti del Tempio di Civitalba.
  • 2012
    • Parziale chiusura della sezione greco-ellenistica: le stele ellenistiche di Ancona sono state spostate in una sala non aperta al pubblico.
  • 2013
    • Apertura della seconda sala della sezione dedicata ad Ancona greco-ellenistica e romana.
    • Le stele greche provenienti dalla necropoli ellenistica di Ancona sono nuovamente visibili
  • 2015
    • Le sculture del Tempio di Civitalba sono nuovamente visibili, con un nuovo allestimento.
  • 2021
    • Vengono chiuse al pubblico le collezioni dell'Età dei metalli (Età del rame ed Età del bronzo).
  • 2023
    • Viene riaperta al pubblico la sezione romana, a 51 anni dalla chiusura.

Nel 2024 devono essere ancora allestite la collezione altomedievale e la collezione numismatica; la sezione dell'Età dei metalli è temporaneamente chiusa.

Palazzo Ferretti[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Palazzo Ferretti.
115) Palazzo Ferretti
116) Veduta frontale di Palazzo Ferretti

La sede del Museo è dal 1958 Palazzo Ferretti (foto 115 e 116), residenza nobiliare tra le più importanti della città[125]; già da solo l'edificio merita una visita, sia per la sua posizione panoramicamente affacciata sul porto, sia per la fama degli artisti che vi hanno lasciato la loro opera: il progetto è stato attribuito ad Antonio da Sangallo il Giovane[126] o anche a Pellegrino Tibaldi[127], gli affreschi e i soffitti sono di Pellegrino Tibaldi, Federico e Taddeo Zuccari, mentre l'ampliamento settecentesco è di Luigi Vanvitelli.

Il palazzo fu edificato tra il 1540 e il 1543, poco dopo la cacciata del famigerato cardinale Benedetto Accolti il Giovane, il legato pontificio che tanto aveva fatto penare la città dopo il colpo di Stato del 1532, con il quale papa Clemente VII aveva posto fine alla libertà della Repubblica di Ancona.

La costruzione di Palazzo Ferretti avvenne quindi nel periodo in cui la città stava rimarginando le ferite dovute alla perdita della libertà e fu dunque segno della ritrovata pace cittadina, pur nell'ambito dello Stato Pontificio[128]. La costruzione del palazzo, quindi, ha lo stesso significato rappresentato anche dalla Pala dell'Alabarda, che Lorenzo Lotto aveva dipinto in città proprio durante la costruzione della dimora dei conti Ferretti.

A partire dal 1560, i conti Ferretti commissionarono ad importanti artisti la decorazione ad affresco del palazzo: i dipinti e gli eleborati soffitti lignei del primo piano e alcuni di quelli del terzo piano sono opera di Pellegrino Tibaldi e della sua bottega, mentre gli altri affreschi del terzo piano sono attribuiti a Federico e Taddeo Zuccari.

Gli affreschi del Tibaldi realizzati nel piano nobile (salone dei ricevimenti, sala degli emblemi, sala dei miti, camera di San Carlo[129]) rappresentano: la Battaglia dei tre Orazi, Andromeda, Apollo e Dafne, Caduta del carro di Fetonte, Ratto di Proserpina. Al terzo piano il Tibaldi dipinse invece la sala con ciclo astrologico celebrante il Trionfo di Apollo. I dipinti degli Zuccari raffigurano invece grottesche con mostri, figure mitologiche e mascheroni nello stile romano tardo-cinquecentesco, tra cui si aprono quadri con paesaggi fantastici e vedute di monumenti romani[127][129].

Durante il periodo della rinascita cittadina ad opera di papa Clemente XII, nel 1759 i Ferretti commissionarono a Luigi Vanvitelli l'ampliamento dell'edificio: verso sud giunse ad inglobare una torre medievale, mentre verso ovest giunse al confine con la chiesa degli Scalzi. L'architetto italo-olandese progettò il balcone sulla facciata, lo scalone d'onore ed il terrazzo pensile[129][130]. Furono aggiunte anche statue di Gioacchino Varlè e della sua scuola. Diversi restauri furono eseguiti nel Novecento, il primo (1928-1931) commissionato dalla stessa famiglia Ferretti, i successivi a causa dei danni derivati dalla Seconda guerra mondiale e dal terremoto del 1972.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Per questi dati: www.artribune.com, Ad Ancona si restaura il Museo Archeologico Nazionale
  2. ^ Corriere Adriatico, 31 dic 2023, articolo Volano i musei delle Marche
  3. ^
    • Massimo Pallottino, La civiltà picena - un'impostazione storica, in La civiltà picena nelle Marche, G. Maroni, Ripatransone, 1992, da cui si cita: ...il museo tra le più significative collezioni di antichità d'Italia e d'Europa.
    • Autori vari, Musei e gallerie d'Italia, Volumi 4-6, De Luca Editore, 1959 (pagina 3), da cui si cita: ...in breve tempo insperatamente arricchendo di prezioso e copiosissimo materiale, sino a divenire uno dei più importanti d'Italia.
    • Il Giornale, 27 Luglio 2011, articolo Terra picena dove godersi la vita, da cui si cita: uno tra i più importanti musei archeologici d'Italia.
  4. ^ La denominazione completa di questa istituzione, che corrisponde alle attuali soprintendenze ai monumenti ed archeologiche, è: "Regia Commissione Conservatrice dei monumenti storici e letterari, oggetti di antichità e belle arti delle Marche", come risulta da: G. Baldelli e M. Landolfi, Il Museo Archeologico Nazionale delle Marche, in Ancona anni Venti e Trenta, Canonici editore, Ancona 1998
  5. ^ Per l'annessione al Regno d'Italia: www.museotorino.it, Verso l’unificazione.
  6. ^ a b c Per la storia del museo:
  7. ^ Da non confondere con l'omonimo Carlo Rinaldini (1615-1698) o Renaldini, matematico e filosofo anconeano del XVII secolo.
  8. ^ a b Sito www.musei.marche.beniculturali.it, pagina Museo archeologico nazionale delle Marche
  9. ^ Non si deve confondere la via San Martino di allora con quella di oggi, che ricorda la battaglia di San Martino. Oggi la via ove sorgeva il museo è intitolata a Francesco Podesti; il museo aveva sede nell'ex convento di San Martino, che dava nome alla strada e che oggi ospita la residenza per anziani "Benincasa".
  10. ^ a b c d G. Baldelli e M. Landolfi, Il Museo Archeologico Nazionale delle Marche, in Ancona anni Venti e Trenta, Canonici editore, Ancona 1998
  11. ^ Le notizie sui musei archeologici nazionali esistenti nel 1906 (e negli anni successivi) sono tratte dai siti ufficiali dei musei archeologici nazionali attuali, e in particolare dalle sezioni dedicate alla storia delle varie istituzioni, che riportano le date in cui ciascuno di essi è stato dichiarato "nazionale". Da questi siti risulta che l'esplosione di aperture, che ha portato all'alto numero di musei archeologici nazionali esistenti oggi in Italia, è iniziata dagli anni settanta del Novecento in poi, specie nell'Italia meridionale.
  12. ^ a b Sito cultura.gov.it, pagina Museo archeologico nazionale delle Marche
  13. ^ Innocenzo Dall'Osso, Guida illustrata del Museo nazionale: con estesi ragguagli sugli scavi dell'ultimo decennio (edizione del 1915 in ristampa anastatica, con allegato il volume Istruzioni per l'uso, di Milena Mancini e Marco Betti)
  14. ^ a b Serena Brunelli, Il Museo Nazionale delle Marche di Ancona: dalla sua fondazione al ventennio fascista, in Il capitale culturale, VI (2013), pp. 211-225. ISSN 2039-2362
  15. ^ L'albo d'onore, rilegato in pelle, con la firma del re, è stato realizzato dalla ditta Nazareno Gabrielli di Tolentino.
  16. ^ Giuseppe Moretti (1876-1945) è noto per aver curato l'ampliamento delle collezioni del Museo Nazionale Romano, per l'isolamento e la ristrutturazione della sua sede nel complesso delle Terme di Diocleziano, il recupero e la musealizzazione delle navi di Nemi e lo scavo e il restauro dell'Ara Pacis. Si veda: Dizionario Biografico Treccani, voce Giuseppe Moretti.
  17. ^ Formatisi nella scuola d'arte di Fano "A. Apolloni", sezione di ebanisteria.
  18. ^ L'allora sovrintendente per l'arte medievale e moderna Luigi Serra criticò severamente la decisione di accorpare le due istituzioni museali, con vocazioni tanto diverse.
  19. ^ Dal diario di Pasquale Rotondi, in: Salvatore Giannella e Pier Damiano Mandelli, L'Arca dell'Arte, Editoriale Delfi, Cassina de' Pecchi, Milano, 1999 e 2009. Dopo il bombardamento che distrusse l'edificio del museo le parole di Rotondi furono: E pensare che proprio pochi giorni prima io avevo detto al mio collega: "Dammi tutto, porto tutto a Sassocorvaro", ma lui non ne volle sapere".
  20. ^ Sito [1], pagina Museo archeologico nazionale delle Marche.
  21. ^ Tale necropoli si estende anche nel confinante comune di Sirolo.
  22. ^ La civiltà picena nelle Marche, Ripatransone, G. Maroni, 1992 (p. 18)
  23. ^ cultura.gov.it, Museo archeologico nazionale delle Marche.
  24. ^ www.classicult.it, articolo Museo Archeologico Nazionale delle Marche: restauro e riallestimento (31 agosto 2023).
  25. ^ Bruno Bearzi era il restauratore ufficiale della Soprintendenza archeologica di Fierenze. Si veda: Dizionario Biografico Treccani, voce Bruno Bearzi.
  26. ^ Il dipendente era il salatariato giornaliero Nereo Alfieri. Notizie tratte dalla sua relazione sullo scoprimento dei Bronzi Dorati, pubblicata a pagina 302 su La Civiltà Picena, Editrice Maroni, Ripatransone 1992
  27. ^ Sandro Stucchi Il gruppo bronzeo tiberiano da Cartoceto (pag. 10); L'Erma di Bretschneider, 1988
  28. ^ Enrico Paribeni, Ceramica attica nelle Marche, in La Civiltà Picena, Editrice Maroni, Ripatransone 1992
  29. ^
  30. ^ Richard De Puma e Christopher Lightfoot, Etruscan Art in The Metropolitan Museum, MetPublications, New York, 2013 (pagine 269–271).
  31. ^ L'esemplare proviene dalla zona di Falconara. Si veda: Benedetta Rossignoli, L'Adriatico greco: culti e miti minori, L'Erma di Bretschneider, 2004. (pagina 28). ISBN 9788882652777. Consultabile su Google Libri a questa pagina
  32. ^ Scheda ed immagine del reperto, dal sito del museo: si veda questa pagina
  33. ^ Scheda ed immagine del reperto, dal sito del museo: si veda questa pagina
  34. ^ catalogo.beniculturali.it
  35. ^ Delia G. Lollini, Museo Archeologico Nazionale delle Marche - sezione protostorica.
  36. ^ Il ritrovamento è opera di da Sandro Polzonetti. Vedi sito del Rotary club e Sandro Polzinetti.
  37. ^ Vedi, su archeomarche.beniculturali.it. URL consultato il 26 aprile 2019 (archiviato dall'url originale il 12 luglio 2017).
  38. ^ Gilberto Stacchiotti, www.parcodelconero.org, Conero segreto
  39. ^
  40. ^ Dalla guida del Museo distribuita nel 2012
  41. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del reperto
  42. ^
    • Agnese Massi, Mauro Coltorti, Francesco d'Errico, Margherita Mussi, Daniela Zampetti, La Venere di Tolentino e i pionieri della ricerca archeologica, in Origini - Preistoria e Protostoria delle civiltà antiche, n. 11, 1997.
    • www.preistoriainitalia.it, ‘’Ciottolo di Tolentino’’ (con collegamento all’articolo di Massi Coltorti d’Errico…
  43. ^ a b Vedi la pagina, su archeomarche.it (archiviato dall'url originale il 17 ottobre 2011).
  44. ^
    • Mario Luni, I porti di Ankon e Numana, in Lorenzo Braccesi e Mario Luni (a cura di), I Greci in Adriatico, 2 (Hesperìa. Studi sulla grecità d'Occidente, 18), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2004, pp. 11-56, ISBN 88-8265-266-1. (pp. 15 e 39-40).
    • Per un elenco complessivo dei ritrovamenti micenei in Puglia, Veneto e Marche, vedi Anna Margherita Jasink, Le testimonianze archeologiche, in Fileni-Jasink-Santucci 2011, pp. 204-211.
  45. ^ Andrea Cardarelli et al., Sulla sponda del Panaro 4000 anni fa. Guida della Mostra (Savignano sul Panaro, 22 ottobre 2016 – 8 gennaio 2017), Comune di Savignano sul Panaro, 2016.
  46. ^ I frammenti sono stati ritrovati dalla direttrice del museo Mara Silvestrini. Si veda: Mara Silvestrini, L'insediamento dell'Età del Bronzo del Montagnolo di Ancona, in Hesperia - studi sulla grecità di occidente, volume 12 (Appendice), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2000, pp. 171-172; 182-185.
  47. ^ Pseudoscilace, 'Periplo, capitolo 16 (Μετὰ δὲ Σαυνίτας ἔθνος ἐστὶν Ὀμβρικοὶ, καὶ πόλις ἐν αὐτῷ Ἀγκών ἐστι. Τοῦτο δὲ τὸ ἔθνος τιμᾷ Διομήδην, εὐεργετηθὲν ὑπ' αὐτοῦ καὶ ἱερόν ἐστιv αὐτοῦ) ossia "Dopo i Sanniti c'è il popolo degli Umbri, presso i quali si trova la città di Ancona. Questo popolo venera Diomede come proprio benefattore, e c'è un tempio in suo onore".
  48. ^
    • Mara Silvestrini, L'insediamento dell'Età del Bronzo del Montagnolo di Ancona, in Hesperia - studi sulla grecità di occidente, volume 12 (Appendice), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2000, pp. 171-172; 182-185.
    • Maurizio Landolfi, Dalle origini alla città del tardo impero, in Ankon, volume l. Una civiltà fra Oriente ed Europa, Ancona, Adriatica Editrice, 1992.
    • Mario Luni, I porti di Ankon e Numana, in Lorenzo Braccesi e Mario Luni (a cura di), I Greci in Adriatico, 2 (Hesperìa. Studi sulla grecità d'Occidente, 18), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2004, pp. 11-56, ISBN 88-8265-266-1
  49. ^ Per le descrizioni dei reperti piceni e gallici esposti nelle varie sale: Delia G. Lollini, Museo Archeologico Nazionale delle Marche - sezione protostorica, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
  50. ^ Le fasi della civiltà picena, con le date d'inizio e di fine, sono identificate da Delia G. Lollini in La civiltà picena, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1976, vol. V.
  51. ^ La scelta del picchio come stemma regionale, dal sito della Regione Marche
  52. ^ A Numana sono stati rinvenuti esemplari simili, come quello della tomba femminile 357 dell'area Davanzali, oggi esposto all'Antiquarium statale di Numana. Si veda:
  53. ^
    • Tommaso Ismaelli, Hippodamoi piceni - alcune osservazioni sulle anse bronzee con "despotes ton Hippon" dal Piceno, in: Gianluca Tagliamonte (a cura di), Ricerche di archeologia medio-adriatica I - le necropoli - contesti e materiali, atti dell'incontro di studio Cavallino-Lecce, 27-28 maggio 2005, edito dall'Università del Salento.
    • Edvige Percossi Serenelli, La tomba di Sant’Egidio di Tolentino nella problematica dell'orientalizzante piceno, in D.G. Lollini (a cura di), La civiltà picena nelle Marche - Studi in onore di G. Annibaldi, Atti del Convegno, Ancona 10/13 luglio 1988, Ripatransone, Maroni, 1992 (pp. 140‑177).
    • Sito www.antiqui.it, pagina Religione
  54. ^ Catalogo dei beni culturali italiani, pagina coperchio - Ancona - 620-600 a.C.
  55. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda dell'oggetto
  56. ^ Sito www.centropagina.it, articolo Riaperto al pubblico il salone delle feste di Palazzo Ferretti: riemersi i colori del ‘500 (24 dicembre 2018).
  57. ^ Catalogo generale dei Beni Culturali dello stato - scheda del reperto
  58. ^ Fa eccezione un esemplare ritrovato a Vulci. Per le informazioni su questo reperto, si veda: Tommaso Ismaelli, Hippodamoi piceni - alcune osservazioni sulle anse bronzee con "despotes ton Hippon" dal Piceno, in: Gianluca Tagliamonte (a cura di), Ricerche di archeologia medio-adriatica I - le necropoli - contesti e materiali, atti dell'incontro di studio Cavallino-Lecce, 27-28 maggio 2005, edito dall'Università del Salento.
  59. ^ catalogo generale del beni culturali dello Stato, Scheda del rperto.
  60. ^ Nuccia NegroniCatacchio e Veronica Gallo, Le raffigurazioni di felini in a,branella penisola italiana, in: “LANX” 30 (2022), Studi di amici e colleghi per Maria Teresa Grassi, pp. 44-61. DOI: 10.54103/2035-4797/18049-
  61. ^
  62. ^ Catalogo dei beni culturali dello stato - scheda del disco-corazza da Rapagnano - originale; Catalogo dei beni culturali dello stato - scheda del disco-corazza da Rapagnano - copia galvanoplastica
  63. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del reperto
  64. ^ Più dettagliatamente, il limite settentrionale è Mondolfo (PU), quello meridionale è Sulmona (AQ), quello occidentale è Fara Sabina (RI) e quello orientale la costa adriatica. Si veda: Valentina Belfiore, Quaderni del polo museale d'Abruzzo, Museo di Villa Frigeri.
  65. ^ a b Anna Marinetti, Le iscrizioni sudpicene. I: Testi, collana Lingue e iscrizioni dell'Italia antica, vol. 5, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1985, ISBN 9788822233318
  66. ^ Piceni popolo d'Europa, p. 136.
  67. ^
  68. ^ Enciclopedia dell'Arte Antica Treccani, voce Greca, arte.
  69. ^ Per le descrizioni dei vasi:
    • Enrico Paribeni, in: La civiltà picena nelle Marche - Studi in onore di Giovanni Annibaldi, atti del convegno "La civiltà picena nelle Marche". Ancona 10-13 luglio 1988, Ripatransone, G. Maroni, 1992.
    • Gabriele Baldelli, Maurizio Landolfi, Delia G. Lollini (a cura di), La ceramica attica figurata nelle Marche, Soprintendenza archeologica delle MArche, 1991.
    • Catalogo dei beni culturali dello Stato
  70. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuito al Pittore di Kadmos
  71. ^ Secondo Enrico Paribeni, invece, in base al confronto con un analogo cratere dello stesso pittore, ritrovato a Ruvo, non si tratta di Arianna, ma della madre di Bacco, Dione.
  72. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuita al Pittore Di Syleus - si veda [2]
  73. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuita al Pittore dei Niobidi
  74. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato
  75. ^ Attribuito alla cerchia del Pittore di Amykos, si veda Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato
  76. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuito al Pittore del Dinos.
  77. ^ mythologiae.unibo.it Scheda del reperto dal sito mythologiae.unibo.it
  78. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del reperto; Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del tripode
  79. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del reperto
  80. ^ Catalogo generale dei beni culturali dello Stato - scheda del reperto
  81. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato Attribuito al Pittore di Sotades.
  82. ^ Scheda del reperto - Catalogo dei beni culturali dello Stato. Attribuita al Pittore Dello Splanchnoptes.
  83. ^ a b Venceslas Kruta, I Senoni nel Piceno, in AA.VV., Piceni. Popolo d’Europa, Roma, De Luca, 1999, (pagina 175). ISBN 9788880164326.
  84. ^ La regina di Montefortino: I segreti delle corone d'oro della tomba n. 8 - Senigallia Notizie – 60019.it: quotidiano on-line di Senigallia e del territorio
  85. ^ Teglia con anse plastiche, ca 375 a.C - ca 350 a.C, su catalogo.beniculturali.it. URL consultato il 5-1-2024-.
  86. ^ Scheda e immagini del fregio del tempio con guerrieri gallici in fuga, dal catalogo dei beni culturali della regione Marche
  87. ^ Descrizione e immagini, su archeomarche.it (archiviato dall'url originale il 24 giugno 2007).
  88. ^ Lorenzo Braccesi, Terra Di Confine: Archeologia e Storia Tra Marche, Romagna e San Marino, edito da L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 31/dic/2007(pagina 40)
  89. ^ Marco Dubbini e Giancarlo Mancinelli, La monetazione del III secolo a.C., in Storia delle monete di Ancona, Ancona, Il lavoro editoriale, 2009, pp. 13-24, ISBN 978-88-7663-451-2.
  90. ^ Da corso Tripoli, oggi Amendola.
  91. ^ Riaperta nel 2010. Si veda: Articolo sulla riapertura della sezione, con immagini, su archeologia.beniculturali.it. URL consultato il 13 giugno 2020 (archiviato dall'url originale il 25 dicembre 2017).
  92. ^
    • Mara Silvestrini, Nicoletta Frapiccini (a cura di), L'Amore oltre la morte: esposizione delle stele funerarie ellenistiche di Ancona, Macerata, Scrocco, 2010.
    • Maurizio Landolfi, Ancona greca e romana, in Scultura nelle Marche, a cura di Pietro Zampetti, Nardini editore, 1993.
    • Lidiano Bacchielli, Le origini greche di Ancona: fonti e documentazione archeologica, in C. Centanni, L. Pieragostini, La cattedrale di San Ciriaco ad Ancona. Rilievo metrico a grande scala, interpretazione strutturale e cronologia della fabbrica, Ancona, 1996 (pagina 50)
    • Fabio Colivicchi, schede 15, 16 e 17 (stele di Simmaco, di Arbenta e di Antifilo) in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005 (In quest'ultimo testo l'informazione sulla mancanza di confronti in Magna Grecia e in Sicilia, per il carattere puramente ellenistico). ISBN 9788824012065.
  93. ^
    • Fabio Colivicchi, La necropoli di Ancona (4.-1. sec. a.C.): una comunità italica fra ellenismo e romanizzazione, Loffredo, 2002 (Volume 7 di Quaderni di Ostrakà);
    • Nicoletta Frapiccini, Ankon dorica. Simboli di prestigio tra oriente e occidente dell'Ancona ellenistica, in Autori vari Ancona greca e romana e il suo porto, a cura di Flavia Emanuelli e Gianfranco Iacobone, dell'Accademia Marchigiana di Scienze, lettere ed arti; edizioni Italic, 2015;
    • Margherita Tirelli, schede 18 e 19 (statue di sfinge del II-I sec. a.C.) e Gabriele Baldelli, schede 20, 21, 22, 23 e 24 (coppe di vetro, brocchetta con ansa ad attore comico, vaso a forma di pantera) in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005. ISBN 9788824012065.
    • Maria Elisa Micheli, Sepolti nel marmo: il caso di Ancona, in Dalla Valdelsa al Conero. Ricerche di archeologia e topografia storica..., Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Supplemento 2 al n. 11/2015, a cura di Giacomo Baldini, Pierlugi Giroldini (pagina 315 e segg. - per le stele in generale, per le sfingi e il bassorilievo della musa danzante.). ISBN 9788878147638.
  94. ^ La disposizione delle ciocche frontali richiama anche il "tipo Forbes", avente come modello la statua del Museum of Fine Arts (Boston).
  95. ^ Sito ancientrome.ru, pagina Ritratto di Augusto capite velato.
  96. ^ Giulia Sinopoli, Domus romane di via Fanti - scavi e contesto urbanisitico, in Picus, volume XXXIX - 2019 (pp. 225-285). ISBN 978-88-99846-12-1. ISSN 0394-3968. Da aquesto testo risulta che l'allestimento attuale manca di alcuni importanti elementi presenti nell'allestimento precedente al 1972: pavimento a mosaico e tronchi di colonne, che erano stati trovati insieme alle pareti affrescate e che probabilmente si trovano nei magazzini del museo. Dato testo citato si apprende anche che al domus da cui provengono gli affreschi è stata rinvenuta nel corso della costruzione della scuola media Niccolò Tommaseo, tra il 1958 al 1957 per il corpo principale e nel 1959 per la palestra.
  97. ^ Maurizio Landolfi, Situla di marmo, in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005 (pp. 226-227)
  98. ^ Un modellino della fase greca del tempio è esposto al Museo Omero: www.museoomero.it, Immagine del modellino del tempio di Venere (Afrodite) euplea.
  99. ^ La sala 25 è stata aperta il 19 dicembre 2013. Si veda: Dal sito del Ministero dei Beni culturali, su beniculturali.it. URL consultato il 22 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2015).
  100. ^ Nicoletta Frapiccini, Letti funerari in osso dalle Marche,da bollettinodiarcheologiaonline.beniculturali.it, anno V, 2014/3-4.
  101. ^ Scheda sull'area archeologica del porto romano di Ancona, su museodiffusoancona.it (archiviato dall'url originale il 26 novembre 2013).
  102. ^ Monica Salvini, Lo scavo del Lungomare Vanvitelli: il porto romano di Ancona, edito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza Archeologica per le Marche nel 2001
  103. ^ Monica Salvini, Scodella con supplizio, in Arte romana nei musei delle Marche, a cura di Giuliano De Marinis, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2005 (p. 109).
  104. ^
  105. ^ Fu rinvenuto in Grecia, nel santuario di Hera a Prosymna, presso Argo. Si veda: sito http://www.ilsoleeiltempo.it/, Il Globo di Prosymna: una nuova interpretazione.
  106. ^ Silvia Maria Marengo, Orologio solare sferico, in: Giuliano de Marinis (a cura di), Arte romana nei musei delle Marche, Istituto poligrafico e zecca dello Stato, 2005 (pp. 290-2931).
  107. ^ In una località urbana non nota.
  108. ^
  109. ^ (EN) Sarcophagus with scenes of marine thiasos, su ancientrome.ru.
  110. ^ Gabriele Baldelli Figuretta di roditore, in: Giuliano de Marinis (a cura di), Arte romana nei musei delle Marche, Istituto poligrafico e zecca dello Stato, 2005 (pp. 292-293). ISBN 882401206X.
  111. ^ Sempre sui due fianchi, che hanno decorazione uguale, sono rappresentate menadi in veste amazzonica e danzanti, con pelta e ascia; Hypnos imberbe e Thanatos barbato Per la descrizione del reperto:
    • Anna Santucci, Stele funeraria del seviro Sextius Titius Primus, in: Giuliano de Marinis (a cura di), Arte romana nei musei delle Marche, Istituto poligrafico e zecca dello Stato, 2005 (pp. 246-247). ISBN 882401206X.
    • Scheda e immagine della stele, su culturaitalia.it.
  112. ^ Dal 15 maggio 2015. Si veda Notizia dell'inaugurazione dell'allestimento
  113. ^ Fu lo storico romano Marco Giuniano Giustino a scrivere che il santuario di Delfi fu difeso da "vergini bianche", in genere identificate nelle dee sorelle Atena e Artemide, in quanto entrambe avevano scelto la verginità. Si veda: Giustino, Epitome da Pompeo Trogo 24,8.
  114. ^ Sito arte.it, pagina Civitalba, un tempio per la vittoria.
  115. ^ Il racconto di Pausania (X, 23) costituisce la principale fonte sull'episodio.
  116. ^ Giuliano De Marinis sostiene il contrario. Si veda: Arte romana nei musei delle Marche, Istituto poligrafico e zecca dello Stato, 2005 (pp. 292-293). ISBN 882401206X.
  117. ^ L'epiteto significa "colui dal ventilabro" e si riferisce a Dioniso dio della fertilità, legato alle religioni misteriche
  118. ^
  119. ^ Mario Luni, Fermo Giovanni Motta, I bronzi dorati di Pergola: un enigma?, edizione QuattroVenti, 2000, in cui si legge: Il complesso archeologico ormai noto nella letteratura scientifica come "Bronzi dorati da Cartoceto", che costituisce l'unico gruppo statuario del genere, di provenienza archeologica (pagina 69)
  120. ^ Altri resti di scheletri di orso sono stati ritrovati dal Gruppo Speleologico di Genga-San Vittore negli anni settanta del Novecento, all'interno della Grotta dell'orso, che fa probabilmente parte dello stesso reticolo sotterraneo della Grotta del fiume e della Grotta del vento. Si veda: M. Coltorti, B. Sala, Resti fossili nella Gola di Frasassi, in Natura e montagna, anno XXV, fascicolo 1, pp. 31-37 (riportato da Gaia Pignocchi, Grotte e archeologia)
  121. ^ Delia Lollini (a cura di), Museo Archeologico Nazionale delle Marche - sezione preistorica, Ministero per i beni culturali e ambientali, Falconara, Errebi, 1990 (pag. 24-25).
  122. ^ Giuliano De Marinis e Umberto Nicosia, L'ittiosauro di Genga, editore: Cassa di risparmio di Fabriano e Cupramontana.
  123. ^ a b c d e f Vedi sito, su archeomarche.it (archiviato dall'url originale il 9 maggio 2006).
  124. ^ Vedi la pagina, su beniculturali.it.
  125. ^ Storia della famiglia dei conti Ferretti e del loro palazzo, con immagini, su musan.it (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).; Francesco Maria Ferretti L'ambito privilegio degli ordini cavallereschi nel fausto mondo de la nobiltà dei natali, stampato nel mese di giugno 2000 c/o l'industria grafica Tecnostampa - Recanati (sono presenti foto degli interni del palazzo quando ancora esso era residenza dei conti Ferretti
  126. ^ Scheda dal sito del Museo Diffuso Urbano di Ancona, su museodiffusoancona.it (archiviato dall'url originale il 27 novembre 2013).
  127. ^ a b Sito musei.beniculturali.it, pagina Museo archeologico nazionale delle Marche.
  128. ^ Sito che riporta alcune pagine del libro di Francesco Maria Ferretti L'AMBITO PRIVILEGIO DEGLI ORDINI CAVALLERESCHI NEL FAUSTO MONDO DE LA NOBILTÀ DEI NATALI
  129. ^ a b c Scheda sul sito dell'Archeomarche, su archeomarche.it (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2007).
  130. ^ L'interesse del Vanvitelli per Palazzo Ferretti è testimoniato anche dal disegno già nella collezione T.A. Heinrich – Toronto -, poi nella collezione privata del duca Roberto Ferretti, come riportato in Minelli M., La famiglia Ferretti di Ancona, Pievetorina, 1987 (pagina 44).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Innocenzo Dall'Osso, Guida illustrata del Museo nazionale: con estesi ragguagli sugli scavi dell'ultimo decennio (edizione del 1915 in ristampa anastatica, con allegato il volume Istruzioni per l'uso, di Milena Mancini e Marco Betti)
  • Giovanni Annibaldi, Il Museo Nazionale delle Marche in Ancona, Trifogli, 1969
  • La Ceramica attica figurata nelle Marche, Museo archeologico nazionale delle Marche, 1991
  • La civiltà picena nelle Marche - Studi in onore di Giovanni Annibaldi, atti del convegno "La civiltà picena nelle Marche". Ancona 10-13 luglio 1988, Ripatransone, G. Maroni, 1992.
  • Delia Lollini, Museo Archeologico nazionale delle Marche, sezione protostorica, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993
  • Gabriele Baldelli e Maurizio Landolfi, Il Museo Archeologico Nazionale delle Marche, in Ancona anni venti e trenta - immagini di una città edizioni Canonici, 1998.
  • Piceni popolo d'Europa, Roma, De Luca, 1999, ISBN 978-88-8016-355-8. (Catalogo della mostra itinerante)
  • Delia Lollini (a cura di), Museo Archeologico nazionale delle Marche, sezione preistorica (Paleolitico - Neolitico), Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, 2002
  • Giuliano de Marinis (a cura di), Arte romana nei musei delle Marche, Istituto poligrafico e zecca dello Stato, 2005 (pp. 292-293). ISBN 882401206X
  • Sergio Sconocchia, Mario Luni, Fabio Colivicchi, Francesco Prontera, Roberto Rossi, Monica Salvini, Mario Veltri, Mario Pagano, Oscar Mei, Nicoletta Frapiccini, Gaia Pignocchi, Ancona greca e romana e il suo porto: contributi di studio, a cura di Flavia Emanuelli e Gianfranco Iacobone, Ancona, Italic (Accademia Marchigiana di Scienze, lettere ed arti), 2015, ISBN 978-88-6974-003-9.

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